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di giandiego
Ne parlo spesso ultimamente, il richiamo all’attraversamento biblico (forse mai avvenuto, per altro) è evidente.
Il mio deserto però non è solamente quello della mera partecipazione pseudo-politica … esso è conseguenza e non motore, in realtà la partecipazione avviene, per ragioni sbagliate a mio umilissimo ed inutile parere, ma avviene.
220.000 ad un concerto, più annessi e teledipendenti non possono essere ignorati. Le file infinite con campeggio agli outlet o davanti ai grandi rivenditori di tecnologia, nemmeno. Il popolo del tifo calcistico o quello dell’adorazione iconografica del guru infallibile di M5S ancora meno.
I francesi e gli Italiani sulle strade del Tour o del Giro … sono lì a dimostrare che la gente c’è ed esce dalle sue case.. Salvo poi essere quegli stessi che lincerebbero un nero solo per il colore della pelle e sulla base di un equivoco e che omettono di difendere i propri diritti calpestati.
Un poco come i popoli che riempivano le piazze dei tiranni 900centeschi o quelli moderni che cacciano gli stranieri, naturalizzati e nel pieno diritto, dalle case popolari a Tor Bella Monica. Ci sono quindi anche se per ragioni terribilmente stupide.
Il mio deserto è molto più sottile, terribile e persistente ed è legato alla coscienza, ai valori, alle scelte di vita. Della visione del futuro e del presente, delle speranze che si covano in petto e che a volte si condividono con altri in cerchio … o anche solo passeggiando per le strade di una città.
Il mio deserto è quello del sentire comune, che ignora il Congo ed il dramma eterno dell’Africa provocato dalla nostra arroganza e dalla volontà, genericamente occidentale, bianca e primomondista di permanere nei propri sprechi e nella propria ostentazione di benessere formale.
Il mio deserto è quello di quel che si dice e si fa, quasi senza sapere, inconsapevolmente bevendo un caffè in una mattinata qualsiasi … o in Lunedì ipotetico di una qualsivoglia settimana dell’anno. È fatto di discorsi e luoghi comuni, di frasi fatte ripetute all’infinito … è il deserto della propaganda sistemica, delle teorizzazioni di Goebbels, che con la sua ombra nefanda aleggia sulla modernità.
Il deserto ch’io temo è spirituale, costruito sulle convinzioni dogmatiche di religioni preconfezionate inventate e volute dagli stessi che inventarono la Guerra. Il senso è ovviamente metaforico non sono un imbecille che pensa ad un uomo che l’abbia davvero inventata.
Guardandomi attorno mi vedo, troppo spesso solo, e la condivisione eventuale e, sempre più spesso parolaia e formale … vuota ed occasionale, legata al momento, anzi addirittura all’incontro accidentale, virtuale o meno. Un tempo le si chiamava parole di circostanza … chissà come le definisce oggi la modernità.
Attraversare il deserto, nella metafora biblica, il popolo d’Israele non lo fa da solo, individualmente, ma in gregge (certo l’idea razziale di superiorità e legame univoco al divino è sempre presente, ma non ci avrebbero scritto un libro altrimenti) Oggi non ci è dato nemmeno quello, perchè sin troppo spesso le condivisioni di percorso sono persino più formali delle parole di circostanza che prima citavo.
La realtà oggettiva, cui si richiamava spesso Stalin per giustificare sé stesso, impone questo viaggio, ma l’aridità dell’intorno è tutta nostra, personale ed interiore. L’assenza di oasi o di gioia … o più semplicemente di una condivisone compassionevole, così come la mancata nascita e crescita di comportamenti altri e diversi da quelli del sistema … dipendono da noi e siamo sempre noi a negarceli. Noi a svuotare del senso spirituale ed ideale i nostri convitti, noi ad affidarci al pragmatismo dogmatico e sterile nelle nostre polemiche … Noi ad ignorare i contenuti , il senso, l’essenza e lo spirito nelle scelte che operiamo e melle strade che intraprendiamo. Noi che non parliamo mai di noi, ma sempre d’altro d’esterno, economicista, formale e strutturato … lontano dal senso del nostro camminare sulla sabbia.
Son piccoli … quei passi, che compie civiltà
Uno va avanti e tre tornano indietro
Flusso e riflusso sì, come un respiro della Storia
ansito di coscienza mentre lo spirito, permane lì!
Sin troppo spesso immoto, fermo e non cresce
Eppure lo sappiam, cresce da dentro
quello che conquistammo nasce in noi
Piccoli passi che quasi non li vedi
però li senti, attorno …
Oppure c’è il silenzio ed è l’assenza, il vuoto
silenti anime così incoscienti e stolte
torna barbarie e stupida arroganza
Sinchè tu riconosci antiche ruggini
foruncoli vecchi e purulente piaghe
che l’uomo porta in sé e che poi espone
quasi che fossero assolute verità
E impone il suo passato e le paure
le antiche e stupide visioni che ha
di quel che è vero e giusto e sacro
che chiama tradizioni … dice radici
Ma è solo Civiltà che torna indietro
Come nella risacca il rifluire
che appiana e che cancella
quello che è stato scritto sulla sabbia
Solo nell’anima si cela quel che vale
perchè l’ho detto! Viene da dentro
quello che conquistammo
Quegli occhi che vedon ben altro
lanciati oltre il limite stolto
di angusti e sparuti confini
di linee tirate a righello da uomini antichi
rinchiusi coi topi … in case blindate
serrate d’astuzia e egoismo
Quegli occhi che vedono altro
sfondando il muro del sogno
toccando realtà … con mani tremanti.
Cambiare comincia da lì
da quel che si vede … e non credi
da quel ch’è al di là dell’osare.
Morali bigotte e regole scritte col sangue
dei molti che dire non seppero … Sì!
Nei roghi sfumati nel tempo
che bruciano ancora le carni
d’eretici e vecchi ribelli
E di donne che dissero al mondo ignorante
d’un loro potere segreto.
Son occhi che guardano indietro
che vedono avanti, nel gioco d’un tempo gaglioffo
E torna e ritorna … non è mai andato via.
E vedi che scorre, che fluido si snoda
il fiume di questo racconto … né fine né inizio
Quel che dovremmo è difendere la Madre Nostra
Non già per un’idea, ma perché muore
per nostra incuria ed infima ignoranza
per l’egoismo nostro ed il denaro
per quella cosa assurda e folle che è il potere
Con essa, che lo vogliate o no
morranno i nostri occhi, il nostro cuore.
Una visione oscura che è pur sempre Dio
ed è per questo che risulta così infida
dell’egoismo e dell’accumulo,
di quello che sta nel buio e resta oscuro.
Quel che dovremmo fare
è il parlar fra noi d’una visione
e di quel modo impossibile e stupendo
in cui le nostre anime la sono.
Di quell’aspetto di Dio che è appartenenza
che è condivisione e sta in un cerchio
… in una sfera,
nel colore di quel Tao che dà più luce.
Dell’ Uno cupo, sfuggito per coscienza
per interiore conoscenza e vibrazione
Quel che dovremmo fare, dovremmo crescere
Accettare la sfida antica come noi d’essere parte …
abbandonare l’ìo cercando finalmente
d’essere noi, parte del tutto
non per un colore o per una bandiera
che sono luce e stoffa, ma per l’amore
che lui da solo ci darà salvezza
non c’è altra strada, non esiste alternativa
Quel che dovremmo è raccontar di noi, di Dio
la parte chiara ed accettar l’aspetto
di ciò che è oscuro eppure dentro noi
e conoscendo crescere … per scelta
Ed ancora cercando l’oscuro compete
una gara di sangue giocando
pavoni a vantarsi d’avere inventato la guerra
Del Dio degli eserciti, noi, cantiamo le lodi
di quei suoi giocattoli orrendi
leviamo il peana
Vibrando d’assurda bassezza
cercando materia di fango e dolore
Buffoni, arlecchini vestiti da Boia
Dove tutto è perfetto
noi siamo la faccia più scura.
Dimenticando noi stessi
siam sordi e siam ciechi
di quel che noi siamo
spegnendo, impazziti, la nostra scintilla
vantandoci delle nostre bombe.
Il perdono non è necessario
il conto verrà, comunque, pagato
con milioni di vite, presenti
future e passate
dove il tempo non ha nessun senso
nella parte più cupa dell’Uno
Quel che io credo
è cosa che si muove
scivola … e cresce
nel cambiamento intrisa
vedi essa si muta e trascolora
Sì come un’onda quando vaga e torna
mormorandoci un canto
Può cambiar nome
attraversando gli anni
e i giorni e i tempi
e modi … e mode
Però quel suo profumo
intenso ti permane
Non ha bandiere
anche se prende parte
nasce giù … dove il fango ed il sudore
eppure s’alza quasi a riempire il cielo
ed è ricchezza pur non essendo roba
Molti nomi gli han dato e li rifugge
chè libertà l’ intesse la colora
d’ogni generazione attende il passo
Ognuno poi racconta come sa
con le parole che conosce e può
ed il potere ne teme in ogni aspetto
Oggi è lo zanni ma poi si fa sapiente
e saggio, e Bhudda … domani sarà
eretico farneticante o pazzo
e ancora, canta, recita
balla ed imbratta tele
Son qui che vivo
ed io del suo sentore mi ubriaco
di giandiego
Non è, si badi, una perorazione da Francescano o da Comboniano, bensì un criterio oggettivo.
La dimostrazione di questo assioma è quotidiana, nell’egoismo diffuso del materialismo consumista, nell’insensibilità incosciente di chi non ascolta o accoglie con fastidio le dimostrazioni pratiche della povertà. Nel blearismo ipocrita che gradulamente scivola in difesa di chi possiede qualche cosa.
Bene lo sanno quei personaggi “d’oro bolognese”, falsi progressisti e finto compassionevoli quali, ad esempio la sindaco di Roma ed i suoi consimili, con i suoi provvedimenti anti-povertà ed il sempre più diffuso e strisciante spirito xenofobo che li contraddistingue in modo graduale ma sempre più evidente.
La povertà vera non è nulla di tenero, nulla di commovente. Nulla che sia facile o piacevole da descrivere. È, anziché no, umiliante ed omicida … suicida anche a tratti.
Fra le sue pieghe si può certamente trovare spiritualità e saggezza (io l’ho trovata) ma si deve esservi predisposti, sin da prima ch’Essa si occupi di voi.
Quando lo fa si prende tutto, casa, possedimenti materiali, salute, orgoglio e dignità e riconquistarli ha il prezzo della tua vita stessa … e forse qui la chiave d’un eventuale saggezza.
Nulla da perdere, nulla da conquistare, nessuna credibilità, nessuna prospettiva … ed allora vedi il mondo per quel che è, cogli le maschere e vedi il perbenismo di maniera … le recite ed i teatrini, soprattutto se hai la sventura d’aver qualche cosa che ti permane nell’anima e nel cervello.
Perchè vi parlo di povertà, perchè sono povero ed io la capisco.
La povertà è denti rotti e mancanti, cure negate, malattie endemiche trascurate e lasciate correre, La povertà è l’essere indifesi di fronte all’abuso. Il dover chiedere quel che si sa verrà probabilmente negato. Il lasciar scorrere su di te la prepotenza del sitema. É alienazione, esclusione … a tratti follia e disperazione. È un lungo cunicolo senza uscita … un tunnel dove la speranza muore e si azzera, dove le prospettive divengono piatte ed inutili. Dove il futuro s’annulla e diviene paura.
Nulla di poetico quindi ed il trovare poesia deriva dalla compassione che hai già, non da quella che troverai intorno a te … perchè nessuno realmente te ne darà, se non formalmente … per il semplice fatto che non capiscono, non sanno davvero con cosa hanno a che fare.
Non lo sanno i politici, non lo sanno gli ecclesiastici o i finto santoni, né gli sbirri ed ancor meno lo sanno i giudici, sempre pronti a condannare il furto di una mela.
Non lo sanno i pietosi, pelosi , perbenisti … i caritatevoli piccolo borghesi annoiato-buonisti. Ne sanno poco e poco ne comprendono persino gli addetti ai lavori.
Solo i poveri, capiscono realmente la povertà, bisogna provarla per sapere davvero cosa sia, come essa divori morale. etica e dignità, come essa azzeri ed annulli tutte le chiacchiere inutili fatte intorno ed attorno a lei.
Certo a volte da lì escono grandi pensieri, ma nessuno li ascolta davvero, state tranquilli. Fingono i più. I compassionevoli veri sono pochi, pochissimi … quelli che capiscono persino meno.
Perchè un povero non è credibile, non potrebbe mai essere un intellettuale, quando mai? Assolutamente un saggio poi, perchè? Uno scrittore vero, non uno scribacchino, un poeta? Non diciamo stupidate.
Gli attestati accademici sono , nella stragrande maggioranza dei casi, anche indici di benessere …fortunatamente le Alda Merini i Van Gogh sono episodi, per altro artificiali, tenuti dov’erano per aumentare il loro valore post-mortem ed erano comunque grezzi, d’ispirazione repentina, non di sostanza.
La povertà è legata nella filosofia corrente all’ignoranza, alla stoltezza, all’alienazione. Ed oggi più che mai essa viene vissuta e descritta come una forma di colposa e degenerante di auto-esclusione, quasi fosse scelta cosciente.
Non parlate di povertà se non sapete … e soprattutto a voi politici, non irridete con le vostre iniziative ridicole ed la vostra patetica e distratta attenzione qualche cosa di cui non avete alcuna intenzione di scrutare la profondità … che non vi interessa, che vi spaventa, che rappresenta un peso inutile nel vostro Risiko delle Strategie. Che non produce voti, soprattutto, perchè ai poveri, diciamolo, basterà un pacco di pasta ed una carezza a tempo debito, sotto elezioni, oppure 80 euro restituibili dagli incapienti (che così diverranno anche evasori e debitori nei confronti dello stato e quindi i delinquenti che sono in potenza) … ed è meglio così, un comodo esercito di indebitati, che sarà facile chiamare evasori, celando così i veri evasori miliardari … un mondo di morosi, incapaci di difendersi realmente (gli avvocati e gli esperti di burocrazia costano) , da additare come causa di tutti i mali. Perchè per dirla con Briatore (personaggio d’assoluta credibilità , non credete?) “I poveri non danno lavoro”
ì
di giandiego
“Ogni tre giorni e mezzo avviene, in media, l’omicidio di una donna in ambito familiare o comunque affettivo, mentre ogni giorno, sempre ai danni di donne, si registrano: 23 atti persecutori, 28 maltrattamenti, 16 episodi di percosse, 9 di violenze sessuali.” Citazione testuale dall’ANSA.
Non è una bella media, nulla di cui la civiltà occidentale, pur con la sua tendenza ad esportare democrazia, possa vantarsi … nulla che possa davvero essere definito “maturazione spirituale, sociale e civile”.
Si badi quello di cui si sta parlando è “il denunciato”, quel che si sa, perchè emerso, ma molto altro avviene là sotto senza che sia manifesto. È ovvio e persino un poco lapalissiano che sia così.
Lo abbiamo definito “femminicidio” e ci siamo messi il cuore in pace. Lavandocene faccia, capo e mani.
Alcuni nonostante questo “invidiabile” record negativo ancora sono convinti che questa civiltà occidentale abbia ad insegnare qualche cosa al mondo … eh si! L’Ipocrisia d’una struttura cristiano-giudaica che fa dell’apparenza partecipativa e democratica il proprio scudo. Del perbenismo e dell’apparenza sociale il proprio sistema.
Perchè, perdonate il ricorrere del pensiero del vostro scribacchino qui in questione, il problema è sempre lo stesso, come per la cultura, come per l’ipnosi, come per il controllo mentale e la società elitaria … siamo sempre lì! Stiamo parlando di Sistema. Di questo Sistema!
Il nostro si è evoluto sulle spalle delle donne e degli schiavi e non si è mai liberato da questo vizio di fondo … il femminicidio è una filosofia, che ci piaccia o meno, una conseguenza di una scelta filosofico -morale che sta a monte.
È figlio del machismo, della competitività, della logica del più forte e del più adatto, dell’apparentamento fra forza e potere (tipicamente maschile e profondamnete radicato nella nostra socieltà, retta conseguenza di quelle tribù a struttura verticale e potere maschile, che scendendo dall’Ovest, armati con il ferro e inventori della guerra sterminarono le pacifiche comunità gilaniche , femminili, orizzontali delle pianure. Piantando paletti e definendo la proprietà della terra. È ancora sempre questo il tema di fondo, l’affermazione di un potere maschile che travalica il mateirle ed invade lo spirito.
Farneticazioni da scrittore, non affermato per altro, di fantasy? Può essere … se vi piace, ma INTANTO LE DONNE MUOIONO. Ed ogni volta la scusa è buona addirittura , si dice, per eccesso d’amore … ma per piacere!
Siamo sempre lì … al maschio dominatore e padrone dà fastidio, sino alla rabbia folle ed incontrollabile, che il proprio possesso amoroso, abbia persino un cervello e, peggio, un’anima e possa non volere continuare a subire il suo affetto, ammesso che il senso del possesso che chiamiamo amore possa essere definito così.
Ed allora l’invasore dell’Ovest, armato di ferro, fa fuori la sua strega gilanica … trovando insopportabile e disonesto che possa, una donna, essere migliore di lui.
Siamo ancora lì, sul rogo delle streghe sapienti, mentre il vescovo Cirillo uccide Ipazia … con gli achei che ballano sulle ceneri di Troia e di Micene.
Siamo sempre alle soglie del neolitico … ad esportare civiltà.
Tutte le indecenze, innumerevoli purtroppo, perpetrate ai danni delle donne, sono lì, nella lostra storia, connaturate con quella che chiamiamo civiltà, figlie della nostra paura di maschi frustrati che possano derubarci della nostra palla … perchè le bambine sono furbe e maliziose. Perchè mamma (e qui sta il mostro)mi ha insegnato che non mi devo mai fidare completamente di una donna … e mamma lo sa, perchè mamma le donne le conosce benissimo.
Il male che le donne fanno a sé stesse è però un altro discorso, che affronteremo forse, in un prossimo racconto.
Comunque … e finisco, persino quest’ultima deformazione culturale è figlia di questo sistema … di quest’ordine, di questo stato delle cose … se non inizieremo a praticare il cambiamento, cominciando dai nostri comportamenti e dalle nostre relazioni, come potrebbe mai cambiare qualche cosa davvero? In mancanza di questo resteremo fermi lì e continueremo eternamente ad uccidere la strega gilanica.
(la fotografia che illustra l’articolo deriva da un lavoro dello scultore Francesco Uccheddu)
Del calore del magma …della voce del vento
del sospiro sospeso e il rumore stranito d’una grande foresta
della terra e del seme e del tempo che passa
Nell’andare e venire del mare
Nella furia mortale dell’onda
nella rabbia improvvisa del cielo
Nelle nuvole gonfie di pioggia
o sbiancati ciuffetti in un ala di brezza.
È la madre, è la Dea
Non può esserci solo il maschile
La vita che scorre, un bimbo che nasce
nel seme interrato che cresce
nel sesso e l’amore donato … desiderio e pienezza
Un racconto narrato da voci di donna
non scritto d’antica saggezza compiuta negli atti
Un esempio che è vita … una vita ad esempio
(La scultura raffigurata è di Francesco Uccheddu)
Ho dello scritto altissima opinione
della parola rispetto … so che può dire
volendo… sia d’emozioni che di sentimenti
giocando con Empatia e con Verità.
Essa si sa ti può ingannare
o rimirare sè stessa all’infinito
girando attorno al senso … senza significato.
Può dare forma all’odio, narrare l’intolleranza.
Può descrivere dell’anima intuizione
dell’immanente e dell’alto … narrare l’infinito
o quel che umanità riesce a intuire.
Mia madre non mi volle dialettale
mi seguì, donandomi la lingua.
E la parola per me oggi è la vita.
Se non l’avessi sarei morto mille volte
nei mille angoli di questo nostro mondo
dove, io con fatica, son passato.
Mi si perdoni se l’amo e la so usare
non è per vezzo, non guardo il mio ombelico.
Non rimiro me stesso e la mia penna
mi piace, invece, vederla scivolare
o ammonticchiarsi sino a dar senso e forma.
Sino al al Dire, al Descrivere … al Narrare.
Che sia prosa o poesia, poco m’importa
delle parole io ho rispetto … le capisco
Eppure non son uomo d’accademia.
D’intellettualità io non ostento, quel che non sono.
Però , fatemi grazia …
lasciatemi del dire e del narrare il gioco