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Quanta galassia c’è qui attorno
quanto universo
circonda, silenzioso, nostra stupidità
…E quanto spazio…E quanta gente
incontreremo prima o dopo
Noi, proprio noi
che non sappiamo vivere
con chi ci è vicino
che ci fermiamo al colore
che disprezziamo l’odore della nostra pelle
Noi
col nostro bisogno d’essere superiori
Noi
che non comprendiamo
che non capiamo
che non sentiamo
Noi
che non solleviamo la testa per guardare
Noi
che non capiremmo l’immensità
Noi
che tremiamo soli nel buio
Noi
che abbiamo bisogno
di abbassare Dio alla nostra altezza
Per non spaventarci.
Cercammo dell’umano la grandezza
noi!
Disperatamente arrovellati
trovammo differenze e l’arrivismo
trovammo competizione, sangue e guerra
la legge del più forte e l’arroganza
La ricchezza dei pochi
ch’è poverta dei molti
Cercammo amore, la solidarietà
la vicinanza e l’empatia
Cercammo il cerchio e il fuoco condiviso
un posto dove poter cessare
il nostro passo
e riposare il corpo stanco e l’anima agitata?
Trovammo solo locande a pagamento
trovammo l’egoismo e lachiusura.
Trovammo diffidenza, autodifesa
trovammo poi l’agguato, armi e rapine
Eserciti…e soldati…
e poliziotti
confini, gabelle…
ed usurai
Cosa salvammo allora?
Le ardite cattedrali
fatte di marmo e sassi?
Innalzate ad un dio ch’è degli eserciti?
Padrone della vendetta
Cosa salvammo noi…
Cosa salvammo?
cosa distinse il nostro cammino.
Forse quei templi aviti
dedicati al silenzio e alla ricerca
forse quella curiosità
che poi divenne sfida.
Forse portammo
in dote, insieme a noi
questa domanda
la voglia di sapere.
Forse, semplicemente, passammo
senza lasciare traccia?
Che non fossero sassi, marmo e cemento
e vetro…e macchine da guerra?
Ed alberi divelti e fiumi sporchi
acque contaminate
ed ardite montagne spaccate e rotte?
Noi che ancora oggi supponiamo e pensiamo
arrogandoci d’essere superiori.
Noi che verremo ricordati…
come la peste
come il male del mondo ch’è passato
Di Giandiego Marigo
Sarebbe sin troppo semplice dichiarare che insieme all’acqua sporca si sia gettato anche il bambino. Troppo facile e già detto, ripetutamente, da tutti coloro che hanno, nel tempo, analizzato la débacle graduale della sinistra e l’evoluzione, non tanto dell’ex PCI, che già covava, sin da quegli anni, i sintomi e prodromi di quello che poi si sarebbe rivelato il fallimento piddino, ma semmai di quell’intorno sindacale e politico che si sviluppò con forza attorno agli anni 60/70, ma che trova, comunque, nella storia del movimento operaio le sue reali origini e ragioni.
Troppo semplice dicevo, eppure efficace come definizione. Non tanto e non solo, per quanto riguarda la pura analisi marxista o marxiana e le sue applicazioni leniste o staliniane, quella non ha mai difettato, anzi è sempre stata prodotta con sin troppa dovizia sino alla divisione metodica del capello. Ma soprattutto per quel mondo di relazioni e di modi, di comportamenti che si erano elaborati attorno al mondo della coscienza operaia e diciamolo sì, senza paura, proletaria.
Un mondo complesso, articolato, fatto di ragioni profonde e di esperienze. Costruito sul fare, certo, ma partendo dal sentire e dallo stare, dettato dai bisogni , ma che ebbe la capacità di elaborare comportamenti complessi che assursero con il tempo alla dignità di cultura popolare e di visione politica complessa. Comportamenti che finirono, anche se in modo inconsapevole ed non voluto con lo sviluppare, addirittura, gli embrioni di quel risveglio spirituale che accompagna i nostri giorni.
Faccio un esempio, perchè è di questo che sto e voglio parlare.
La cultura socialista ed anarchica prima e comunista dopo (anche se innegabilmente il comunismo inserì il primato assoluto del partito e della sua struttura burocratica), ma anche una parte di quella cristiano sociale, affondavano le proprie radici in una esigenza reale di mutualità e solidarietà. Non analizzavano soltanto una relazione sociale ma cercavano di organizzarne e garantirne al salvezza. Le cooperative, le società di mutuo soccorso, le stesse organizzazioni sindacali che nacquero con questa “nuova coscienza” poco o nulla si occupavano delle leggi di mercato, delle regole della cultura dominante, ma stabilivano nuovi rapporti, nuove leggi, nuove regole che si definivano via via, partendo dalla individuazione di quelli che venivano chiamati “interessi della classe”.
Aprivano un nuovo confronto, altro, rispetto a quello sistemico, alternativo ed anche antagonistico.
Non dico nulla di nuovo, nulla che non si possa dedurre da un buon libro di storia del ‘900…eppure dico tutto quel che c’è da dire.
La qualità di questa relazione, la sua stessa esistenza, da sola apriva una contraddizione e forniva la “speranza di una nuova visione”. Proprio perchè sparigliava le regole, ne definiva di nuova, metteva in campo interessi diversi da quelli che erano stati sin lì rappresentati. Forniva loro organizzazione e dignità.
Inoltriamoci in questo esempio, una cooperativa di consumo, non nasceva come investimento, nemmeno veniva teorizzata come onlus e non si poneva il problema di non disturbare, di rispettare le regole, di non fare la guerra dei prezzi. Nasceva dal bisogno di far coincidere, quel che si aveva, con quel che si poteva e lo faceva, perchè il suo ruolo era quello di rispondere ad un bisogno primario. Lo stesso discorso e le medesime premesse valevano per il sindacato, per le società di mutuo soccorso e per tutte quelle “organizzazioni di base” che nacquero dai bisogni, gli ambulatori, le scuole. Non furono finalizzate ad inserirsi in un sistema ma a modificarlo, non furono poste per adeguarsi ad un mondo perfetto, ma per perfezionare un mondo grandemente imperfetto.
Oggi definire e parlare di “interessi di classe” sarebbe arduo…ed anche fumoso, la gara si realizzerebbe nel chiamarsi fuori, piuttosto che nel definirsi proletari difendendo o rappresentando questi interessi.
L’interclassismo è ormai stato, ampiamente, somministrato ed assorbito…a grandi boccate, metabolizzato…divenuto comportamento comune, persino al di là di ogni ragionevole motivo e in barba alla realtà. Ma la domanda su dove siano finite la mutualità, la solidarietà, la condivisione…bhè è lecita, anche perchè questi valori sarebbero un’ottima risposta alla crisi incombente. Non può certo bastare a giustificare l’uso e l’abuso dei termini in questione, l’esistenza di false cooperative di puro investimento, attente al mercato ed alle sue regole, perfettamente inserite nel sistema, anzi sue artefici o di quelle due o tre banche che ancora si richiamano grottescamente al mutuo soccorso
Perchè , per esempio, i nuovi soggetti dell’organizzazione popolare come i GAS non si pongono il problema dei prezzi e dell’accessibilità dei prodotti che veicolano, oltre alla qualità ed al chilometro 0, perchè non se lo pongono le Coop, che addirittura espongono prezzi più alti che in molti altri templi della “grande distribuzione”. Perchè i sindacati sembrano occupati a garantire tutto salvo che il mutuo soccorso? Perchè deve arrivare Emergency a Mestre a ricordarci il senso della solidarietà. Eppure anche presi a sé stanti, avulsi da tutta l’analisi “di classe”, QUESTI VALORI : SOLIDARIETÀ. MUTUALITÀ, CONDIVISIONE…hanno un significato assoluto che molto spesso viene richiamato…descrivendo una “generica e amorfa” crisi valoriale e culturale.
Per finire, per ora, con questa mia “tirata” da saputo. Credo che dalla riproposizione, culturale, comportamentale e spirituale di queste tematiche insieme a “Circolarità, Orizzontalità. Partecipazione “ possa e debba nascere il nuovo, moderno, concetto di “Progresso e Civiltà” e la visione che noi, che ci arroghiamo d’esserne portatori, consegneremo al nostro futuro
Curami, amore mio
le donne sanno
chinati, su questo antico amore
e fagli grazia.
Che gli anni passano
e vince la stanchezza
e il passo si fa incerto.
Quell’arroganza , sai
che riempie il cielo
le donne san mutarla
in acqua e sale
acqua per Madre Terra
sale per fare pane.
Curami amore mio
tu lo sai fare.
Molte parole son perse
dentro al vento
o scritte sulla sabbia
o dentro all’acqua
fan solo chiasso…e tu lo sai…
non han sostanza
ma la sapienza antica e la magia
camminano nel racconto e nella fiaba
“cose da donne”
sussurrate nella sera,
come un saluto al sole
fatte di luna
Tessute coi suoi raggi
tele d’amore
curami, amore mio,
tu lo puoi fare
(la fotografia raffigura “la dea del Nord” di Francesco Ucheddu)