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Partiranno le navi, come nel sogno
Varcheranno, l’eterno confine dell’uomo
Spiegheranno fantastiche vele
Intessute con tele di ragno
Prenderanno la luce per mano
La useranno, in vece del vento.
Partiranno per danno agli Scribi ed ai Farisei
Che , mai diedero fede alla forza del vento.
Per miopi scienziati
Bloccati
A quel che si vede…a quel che si sa.
Partiranno! Perché è il nostro destino
Il partire e l’andare
Siamo fatti per questo, di vento e speranza
Siam vivi soltanto se resta qualcosa da andare a vedere
Partiranno perché quel che c’era l’abbiamo finito
Partiranno, per Dio! Partiranno
Portando lontano il seme dell’uomo
Che sia un seme buono
Solo quello dipende da noi.

Ieri sera, io ho parlato con mia figlia
Ed era uno di quei momenti suoi, di quelli brutti
Che non c’è un Dio
Che non c’è una speranza
Che solo quel che vedi c’ha sostanza
Che non c’è un’altra vita
Nemmeno una sequenza
Non c’è stato un prima e non esiste un dopo
Che il destino ed il fato e che il disegno superiore
Non hanno senso alcuno
Se non nell’illusione disperata
Ed ho temuto, io, che fosse vero
Un’ombra di verità in quel silenzio suo
In quel momento brutto
Poi , come il sole sorge, così torna speranza
Perché , in fondo, di quello vive un uomo
Del creder che sia vero
E che ci sia, davvero là,dietro a quel buio
Un nuovo giorno
Un nuovo sole
Un angolo di cielo per chi è stanco

Morimmo, ma non piangete
Perché noi non amammo mai le lacrime
E non lo abbiamo fatto perché voi piangeste
Certo morimmo, ma non fummo noi a glorificare la morte
A noi piaceva il canto ed amavamo l’amore
Il vino…e le feste sull’aia, il ballo ed il vento
Il sole…i frutti rossi, le notti insonni
Noi mai incrociammo ossa né disegnammo teschi
Noi non alzammo mai pugnali al cielo
Amavamo la vita, sacrificammo tutto a quell’amore
Perché dopo noi sorgesse il sole
Perché rideste ancora e poi cantaste
Morimmo, ma questa nostra morte fu sale e seme
Ed acqua e tutto quanto è bello e buono
Certo, morimmo, ma voi cantate…grazie!
Chè a noi piaceva il canto


Il mio paese è nel lodigiano, nella bassa per l’esattezza dove la Lombardia diventa Emilia, nella zona in cui un tempo si modificava la parlata…e cambiava in qualche modo la cultura…in cui i Baciapile diventavano mangiapreti…pur non cambiando affatto, nelle abitudini, nei volti e nei modi di vestire. Il mio paese è pulito, lindo, ordinato di tradizione contadina, qui un tempo si inventò il Grana…eppure non rimane nemmeno una casara…qui un tempo era il centro nevralgico della bassa, un punto d’incontro, zona ed origine di una fiera importante…per la mucca da Latte…eppure non sembra a vederlo, oggi, paese d’ingegneri ed immobiliaristi, dove i coltivatori diretti si comportano da notabili e dove l’allevamento è businnes di cui si parla in termini tecnici…e se ne parla poco,anche.

Perché vi parlo del mio paese, se non ci sono neanche nato? Se ci sono arrivato da poco? Se, volendo essere concreti non potrei e non dovrei definirlo il mio paese, ma il posto in cui vivo?

Proprio per questo…Perché ogni giorno che passa sempre maggiore, sebbene sottile e non palese è la differenza che mi viene imposta fra queste due definizioni.

Non è palese dicevo, ma costante, sempre presente…tollerato, non accolto, inserito nel contesto, accettato, persino salutato, ma mai amico. Sempre diverso, straniero.

Per carità io devo moltissimo a questo paese, sono stato accettato nelle condizioni peggiori e quando ne ho avuto bisogno persino aiutato, anche in questo momento vengo aiutato, ma questo vuole dire ne faccio parte? Assolutamente no e si vede nelle piccole cose, negli automatismi del far politica insieme, nella pratica quotidiana…nei meccanismi soliti e domenicali in quelle cose semplici che fanno confidenza, facilitazione, quotidianità, proprio in quelle cose infinitesimali, dettagli, che tu non avrai mai, perché sei straniero. Vado sull’impersonale, mi allontano, assumo un atteggiamento antropologico e distaccato? No! è del mio paese che sto parlando di casa mia, eppure non è bello sentirsi straniero a casa propria.

Non sono nero o colorito, a volte riesco persino ad esprimermi in dialetto…anche se un poco incerto, d’altra parte io ho sempre prediletto la lingua, per scelta personale, eppure anche per me esiste il pane amaro della diffidenza…sono uno sconosciuto in fondo, con me non è possibile costruire una parabola di nonni e nipoti, fratelli e sorelle, non sono omologabile.

Questa diffidenza non colpisce solo me, pare ovvio. Nel mio paese ci sono almeno due intellettuali di ottimo livello, due di quelli che sono superiori per preparazione e storia specifica…due che han fatto parlare i giornali…che rappresenterebbero un vanto, se fossero nati qui…ma non è così purtroppo, sono foresti, poco importa che abbiano poi vissuto qui per 30/40 anni, non ci sono nati , se ne parla quindi, si fanno riferimenti a loro, ma restano là, dove rimarranno sempre, almeno al mio paese, un poco a lato mai veramente riconosciuti. Non è quindi l’annosa questione dei profeti e della loro patria, ma un senso di estraneità…benevola, ma pur sempre estraneità.

Questo mio paese uguale ad ogni paese della Lombardia  dove il “protettore del dialetto”, non è nemmeno necessario che sia di destra, anzi proprio non lo è.

Perché vi parlo di questo mio paese? Su questa normalità si forma il potere mostruoso degli incappucciati, su questa normalità si è formato il KKK nel sud degli states e su questo si fonda il potere di certo “razzismo” nostrano…che non è proprio xenofobia…è più un fastidio, che all’esigenza alza croci e costriuisce roghi. La  medesima insofferemza  che impedisce, in questo mio paese della bassa lombarda, di fare musica sin dopo le 22.00 perché potrebbe arrecare disturbo ai residenti. Questo mio paese dove i locali che vogliono fare musica live chiudono, dove non si può fare troppa animazione in piscina…perché i vicini potrebbero lamentarsi e lo fanno ad ogni piè sospinto

Dove il circolo Arci non può far musica alla sera, dove non si fanno feste , concerti, se non di musica classica…o in occasioni particolarissime a cura del comune…dove l’ora in cui la piazza si affolla sono le 11,00 del sabato e della domenica dopo la messa.  un luogo in cui l’incaricato della S.I.A.E. è una sorta di jattura. Dove i crocchi di persone la sera che si formano di fronte ai pur presenti locali della movida sono ammassati…e guardanti, in fondo con sufficienza e sospetto.

Il mio paese, come molti, in questa Lombardia è di centro destra, ma non cambierebbe molto se non lo fosse, perché il mio paese ha una cultura…che è di tutti, persino della sinistra.

In questo mio paese dove essere troppo marcati politicamente…potrebbe persino essere un problema…se non sei dei gruppi giusti si badi, fondati più sull’amicizia e sulla conoscenza che non sulla politica, l’essere diverso ed essere nero in fondo è uguale…pericoloso, fastidioso. Antigone non ha successo in questo mio paese.

Nulla in queste cose è eccessivo, per carità, si deve pur vivere anche qui, nulla rischia di uscire dalla buona norma e dal perbenismo, almeno in apparenza…tutto questo è leggero, casuale…ma profondo. Dove uno straniero ha senso finché munge, ma quando si stacca dalla sala e dalla macchina, quando scende dal trattore e pretende di camminare per le strade infastidisce. Sino a che resta nella stalla e nella cascina è persino simpatico, addirittura, a tratti un essere umano, ma se esce , cammina e vive fa paura. Niente di tutto questo si può davvero chiamare “Razzismo” e se osi accostarvi il termine ti si guarda risentiti ed offesi…”io sono dell’A.V.I.S. della Caritas….io faccio il volontario nella Protezione Civile“…oppure, come nel mio caso non si tratta di vera e propria xenofobia…semmai, una leggera forma di diffidenza, costante, quotidiana. Una goccia cinese.

Mia nonna è pugliese, mia madre nasce e cresce a Milano, non parla nemmeno il dialetto di San Severo, non ne conosce nemmeno una parola, un’inflessione…mio padre, per contro era veneto, di Campagna Lupia a meno di venti chilometri da Venezia, si badi che papà ha lasciato la famiglia ancora giovanissimo per venire a Milano a lavorare. Eppure mai e poi mai Mia madre fu accettata dalla sua famiglia, salvo che per le due Zie che praticamente gli fecero da madri. Mai…terona, con una erre…a zè voncia…io stesso, sempre considerato un nipote di serie B…poareto el ze teron.

Poareto, non è che mi odiassero, mi compativano…se avessi avuto bisogno mi avrebbero persino aiutato, esattamente come stanno facendo al mio paese.

Questo è il retroterra, su cui il leghismo fa presa ed affidamento, certo com’è di trovarlo ogni volta che lo chiami a supporto o a giustificazione.

Il mio paese ed il paese del mio papà, tranquilli ed indifferenti al massimo infastiditi, dove delle cose che accadono in un pezzo di mare fra la Sicilia e la Libia non si parla per tre ordini di ragioni, è lontano…in Africa, non mi riguarda…e potrebbe spaventare i bambini…”Ognuno a casa sua e staremmo tutti meglio ” e se vale per l’intellettuale riconosciuto persino dall’accademia di Svezia, nell’assegnazione del Nobel alla letteratura, ma che nasce a dieci chilometri di distanza e che quindi “Non è di qui” , perché mai non dovrebbe valere per i negri e i marocchini…che sono anche diversi di colore, perché non dovrebbe valere per i pulciosi capelloni che spaccano balle e timpani con la loro musica chiassosa…perché mai dovrebbero andare in giro a spaccare i maroni quando gli abbiamo fatto l’oratorio, che andassero lì, che sono controllati.

Il mio paese è un paese della bassa Lombarda, ma potrebbe stare in qualsiasi luogo in questo nord, sempre più simile a quel “tranquillo Sud degli States” che diede origine al KKK e che assassinò Kennedy e Martin Luther King…a quelle zone rurali, popolari dove i roghi dell’inquisizione trovarono fertilissimo terreno, mai davvero razzisti, mai davvero xenofobi…come dire, infastiditi.

A che serve spingere all’estremo confine lo sguardo
Solo per veder chiaro che nulla, mai, veramente cambia
da troppo tempo
Il passo tuo , quello di questo mondo, che è sempre quello
ed il ritmo suo ti stanca
Anni di strada, di pensiero e lotta
noi ci siamo già giocati in questa vita
Sperando, credendo, pensando
che un giorno poi cambiasse.
Però non è successo
dobbiam tenerne il conto
tristi o contenti
Siamo stati meglio, almeno fra noi, siamo cresciuti?
No! Neanche per sogno.
Pochi e isolati quelli che sono riusciti
rendendo al meglio l’immagine di Dio.
Quanto rumore, inutile baccano, quanta energia buttata
A cosa serve di veder bene la strada,
sapere del bisogno e di sognarne, splendida, la fine
Se poi non siamo riusciti a cominciar da noi
portando quel bisogno dove a noi sembrava ci fosse il mondo nostro.
Noi che eravamo simili tanto che ci sembravamo d’esser tutto.
Ed eravamo pochi, ed eravamo niente
splendida minoranza
Quel che avevamo intorno era diverso
uguale, sempre, a quel che c’è
sempre lo stesso.
Qualcuno dopo ce l’ha pure fatta
ha forato il video ed è uscito
diventando un comico, un attore,
Si è travestito come guitto ed ha sfondato.
vecchie regole, però, sempre le stesse…
da sempre e ancora quelle
Alcuni ora scrivono i giornali
altri son politici di razza…quale?
Che serve allora d’aver tanto creduto
Che il tutto intorno potesse anche cambiare
Se quel confine, antico, è ancora e sempre là,
sempre lo stesso
Con gli stessi guardiani!
Loro , immortali
a serrarne le porte ed a vietarne il passo
Così come ieri e l’altro e tutti gli altri giorni
che ancor vennero prima
Mai ci fu fantasia nel potere
Non certo in quel che è, è stato o che sarà.
Ci fu per davvero la speranza ?
Per quell’uomo, sempre uguale
Così
sempre se stesso

Ho rabbia !

Per la mia, per la tua dignità

il lavoro, che non ce n’è più per nessuno
Tu sei troppo giovane
sino al giorno in cui sei troppo vecchio
Con la gente, sempre più impoverita, sbandata e stordita
Ho rabbia!
Per questi ragazzi, che non san più chi sono
Che cercan sé stessi in giochi di morte
disperati ed assenti e bullismo demente
Dolore, stupore e nessun rispetto.
Ho rabbia!
Per queste nazioni son tutti impazziti
si ammazzan, fratelli e Caini, fra loro
Assurda ricerca di un totale potere…possesso
Ho rabbia!
Per questi bambini

che non li ama nessuno
nel mondo a morire
di fame o di guerra
d’assurdo o di noia
Per strada o fra buste di droga e di morte
adorano il dio denaro

che è l’unico, poi che gli abbiamo descritto
L’esempio li uccide

molto più di quell’angelo nero
Ho schifo!
Di voi benpensanti costruttori di roghi,
bigotti, assassini
la caccia alle streghe, non è mai finita
Il diverso anche oggi è per sempre bandito
Ho schifo!
Dei telefonini esibiti,
come fosse vitale l’averli
per avere di te qualcosa che dica

E’ un uomo arrivato,
è uno importante
Ho dolore! Dolore! Dolore!

Della mia povertà e del suo dilagare

degli ultimi ormai che non fan più notizia

del sangue venduto per sbarcare il lunario
Per questo mio mondo
Lo stiam rovinando, ingordi, ignoranti
di buchi nel cielo, di aria sbagliata
DiMerda corrotta che gli esplode in pancia
Un peto gigante a forma di fungo
HO RABBIA! HO SCHIFO! HO DOLORE!
Scusate se urlo!



ehi tu

Quando non capisci, quando non tolleri
È molto semplice
Costruisci un muro, marca un confine, fai la tua opera d’arte
Costruita con il filo spinato
Se non ti vuoi sforzare…tu non vuoi problemi
Non possiedi opinioni
Detesti, però, d’essere contraddetto
È molto, molto semplice
Costruisci un muro, marca un confine, ammazza il tuo vicino
Abbatti d’odio il suo campanile
Se il pensare ti reca turbamento, preferisci che altri
Corrano questo rischio
Se la partecipazione ti spaventa
Solidarietà ti scatena l’allergia
È, davvero, molto semplice
Costruisci un muro, marca un confine, dai pure del terrone a tuo
fratello
Fai, dolcemente, deportare tuo cugino…
Ammazza il negro!
Brucia l’ebreo
Scaccia lo zingaro!
Strappa tutte le unghie a chi non la pensa come te
Se il tuo divertimento è solo il far distinguo
Tu sei diverso…bianco!
Meglio dei gialli ,dei rossi, neri o blu
Meglio di tutti
Tu hai già isolato la tua casa, allarmato il tuo letto
Custodisci il tuo piatto in cassaforte, perché sia solo tuo
Hai circondato di mattoni anche il tuo cuore
Hai costruito alfine il tuo stramaledetto bunker…
Bene!
C’è un’altra cosa che tu puoi fare
Ch’è molto semplice
Costruisci un muro, marca un confine
Adorna d’edera i muri alla tua rocca
Scava una fossa…molto profonda
BUTTATICI DENTRO!

Il tempo perso in chiacchiere
È, poi, lo stesso tempo della tua vita
Un bel vestito solo stoffa
prima o poi corrode e cade
La tecnologia soltanto forma
Senza il contenuto
struttura senz’anima
Nessuno l’abita…rimane vuota
Formalità e regola
non durano mai la vita di un uomo
In una sola ora cade un muro
si sposta un confine
Tutto è impermanente
Il mare, in fondo, è acqua
Pur con la sua potenza
Le parole volano, leggere, senza traccia
Ti scivolano addosso
Anche se ti corrodono
Puoi rimanere nudo
ma sei pur sempre
un uomo

Da una nuvola nera
come un rivolo di luce scomposta
quasi un arcobaleno…io vedo
Dalla radio musica, leggera
mi riempie la mente
Le strade son fatte di mille solitudini ed io ci cammino
Ho un’idea di te che non esisti
Nella mia mente ci sei
tu bellissima
Fantasia, un gioco, ricordo e speranza
Un gioco d’amore col niente
La luce sfarfalla
nuvole e mente, scompiglia i colori
Mischia croupier…è un’altra mano
Dammi le carte…che ce la giochiamo
Gocce sospese, mille arcobaleni
Aerei di carta, fuori anche i veleni
Dubbi…paure…timidezze
Dentro ad un rivolo di luce
Scomposta,quasi un arcobaleno…io vedo

Hanno ucciso Manitou
Hanno tagliato tutta la sua foresta
Un’altra voce di Dio che se n’è andata
L’hanno ammazzato come il Dio serpente
Subdoli…alle spalle…col veleno
Con il piombo
l’hanno ucciso e con il whisky
vi hanno confusi la mente ed il cuore
a voi suoi figli
per farvi diventare come loro.
Sotterrate le vostre asce
Spegnete i vostri fuochi
Il ballo, il canto libero
I funghi, i vostri riti e pipe e iniziazioni
Ed i bastoni colorati con cui voi ci accoglieste
Come dei pari,
cacciatori e guerrieri
Hanno tolto la voce al vostro Dio
Perché si perda di voi la conoscenza
Quanta paura avete fatto all’uomo bianco
Perché di voi lo spaventasse
Anche il ricordo
E vi rinchiudesse dentro una vetrina
Insieme al vostro Dio

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