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Non c’è innocenza in chi gestisce la paura
non c’è la parte giusta del potere
non potrà esister mai una guerra santa
Non c’è crociata e non non c’è jihad
non c’è benedizione delle armi
non c’è il paradiso del guerriero
Non c’è perdono per chi fa del terrore
sistema e dominazione
Per chi lo usa per nutrire il suo potere
Chi costruisce armi non può parlar di pace
chi le vende , poi, si nutre della guerra.
Chi mai potrà stupire d’uno schiaffo
reso in un mondo di schiaffeggiatori?
Chi mai potrà fare morali su quel sangue
s’egli stesso ne fa suo nutrimento?
L’assassino fa del mondo propria immagine
ragionando solamente della morte.
È un burattino sai quel che ha il coltello.
Assurda competizione, gara senza alcun senso
disegnata fra confini re-inventati
religioni di comodo senza alcun Dio
uomini inariditi e schiavi del denaro
Stolti, senza pietà che si rimpallano
odio ed arroganza … sangue e dolore
selvaggi nel silenzio d’ogni anima
Non vi è ragione che si risolva con la guerra
Vendetta poi è un piatto avvelenato
L’onore e Santa Madre … La Patria e il Sacro suolo
solo invenzioni per farci morire contenti
Coloro che hanno il mondo sono uguali fra loro
giocano con gli specchi nel raccontarsi
Non conoscono o rispettano alcun confine
essi ragionano solamente con il potere
che non ha una città e non riconosce nazione
Lor fanno incetta della nostra energia
Loro si nutrono con il nostro sangue
E’ molto che non scrivo, faccio fatica a farlo, ultimamente, ho la sensazione che serva a poco il ripetersi fra noi, con diverse parole, la modulazione del nostro comune disagio.
Proprio io, che mi picco d’essere scribacchino e poetastro, ho perso la fiducia nelle parole…bhè un poco sì.
Quante ne abbiamo sprecate in tanti anni di movimenti, diverse ed uguali, accorte, azzardate o piene di fede, forbite, elaborate, astute. Peccato che quasi tutte si siano poi fermate lì, ad essere quel che sono, modulazioni d’aria, ripetizioni di altre modulazioni che ascoltammo, che ci colpirono e si fissarono nella nostra memoria.
Prescindiamo però dai motivi del mio silenzio, di cui solo il mio smisurato ego spera vi siate accorti mentre la mia razionalità ed il mio spirito sanno bene che no e quanto sia poco importante.
Veniamo al tema che mi ha trascinato a scrivere, quasi contro la mia volontà
Vedo, sento e leggo molta indignazione per il suicidio dell’artigiano di Bologna. Indebitato con Equitalia e l’Agenzia delle Entrate.
Lo capisco benissimo e l’approvo, ma permettetemi di scegliere, come suole in me, la parte del nuotatore controcorrente.
Possibile che l’unico modo perché la gente, anche e soprattutto coloro che si auto-definiscono “sensibili e progressivi”, giri la testa e degni di considerazione ed attenzione un ultimo vero, non l’idea statistica del povero, ma il tuo prossimo …reale, vero, tangibile, sia uccidersi, suicidarsi o provare a farlo.
Certo il volontariato, le associazioni, ma quello è il povero istituzionale, normalizzato, lontano. Io parlo del prossimo vero, quello tuo, quello che non ti aspetti, quello che non ascolti ed al quale rispondi “Abbiamo tutti i nostri problemi” oppure, che ascolti distrattamente e liquidi con “Ciascuno ha le sue”
Costui solo se si da fuoco o si spara, improvvisamente, cattura l’attenzione, perdonatemi, un po’ tardiva e molto retorica di chi solitamente tuona frasi fatte contro il sistema?
Che magari lo ha fatto insieme a lui sino ad un attimo prima?
Parlo per esperienza diretta non per improvvisato moralismo.
Ho perso tutto e di più, sono sepolto da debiti che non potrò pagare mai, sono un invalido senza lavoro e senza pensione, non ho ammortizzatori, tutto per avere lavorato come un mulo per anni. Però se ve lo dico a voce, se lo scrivo, vi voltate dall’altra parte provando un vago fastidio…ed anche qui, non cerco né la vostra solidarietà, né le vostre lacrime…ne ho a sufficienza dell’elemosina del mio comune.
Vi parlo solamente per raccontavi, non per commuovervi, per invitarvi narrandovi di me, dandovi del mio da masticare a riflettere su quello che diciamo di continuo, quel “La rivoluzione parte da noi” che rischia di restare come molte altre “parole” che pronunciamo spesso una mera dichiarazione di volontà.
Mi esprimo partendo da me, perché così attuo da subito ed i contorni del vero si intuiscono. Abbiamo tutti fame di sincerità.
Ed ora permettetemi di chiudere questo racconto…proseguendo con l’esempio, nei giorni tristissimi della mia rovina quando la mia vita si distrusse i primi a scomparire furono proprio quelli che chiamavo compagni, troppo presi con la rivoluzione ed il sindacato, troppo occupati con la storia del movimento operaio, con la strenua difesa ora di questo ed ora di quello, per curarsi di me e per chiedermi come stavo. Avrei persino potuto rispondere “male”…ed allora? Cosa avrebbero fatto?
L’empatia è cosa rischiosa, roba da sognatori , da hippies.
Qualche cosa si è bloccato, nella “cultura” di quella che chiamammo sinistra, si sono persi termini come mutualità, solidarietà.
Forse si è persa essa stessa, sacrificata all’unico pensiero ed alla cultura condivisa.
Oggi ci hanno convinto che stiamo laureando i nostri figli nelle stesse università dell’élite, non è vero, ma questa convinzione fa parte dell’inganno. Ed è questa convinzione che ci sta disperdendo, così come quella che esista un pensiero assoluto comune per tutti, un unico modo, un unico punto di vista per interpretare la realtà.
Una unica scienza economica oggettiva dalla quale non si può esimersi, per esempio
Eppure l’embrione della risposta, la vera resistenza è tutta intorno a noi, intessuta di coscienza e nuovi comportamenti.
Questo “motore” spirituale e filosofico. Questo nuovo modo di essere e di pensare sta, lentamente affermandosi ed è fatto di modi d’essere, di premesse, scelte di vita, di attenzione, di ascolto, di appartenenza e condivisione, nuove comunità ed infinite domande; che comprendono anche un “come stai” detto con il cuore e con “compassione” al momento giusto.
Probabilmente finirà per contagiare, speriamolo, anche i santuari un poco conservatori di quella che chiamammo sinistra. Sino a fare comprendere anche da quelle parti, quanto poco importanti oggi stiano diventando le divisioni fra tifoserie e fazioni, rispetto alla richiesta di comprensione comune di condivisione, di verifica pratica nel vissuto e sul significato vero, profondo…dei termini Progresso e Civiltà.
Copiando infinite regole sino a cambiarne il senso
Sin quando le parole perdono il loro suono
Scrivendo libri sacri senza l’ispirazione
Come siam bravi a farlo…noi scribi e farisei
Noi i miscredenti, noi inventori dei roghi
Noi! Che adoperiamo Dio quando ci comoda
Ancora e come sempre!
Contendendoci un corpo…silente
disconoscendo l’anima che mai non muore
Coi nostri mille editti…con tutte le nostre grida!
Nostra vergogna esposta,vesti strappate
testa sporca di cenere,ma nessun pentimento
Quanto rumore inutile…per loro che stan zitti
Quante supposizioni, quante filosofie, quante morali ed etiche
Elette a verità fatte rivelazione
Quanti maestri, quanti grandi sapienti
per quel che non sappiamo, quello ch’è sconosciuto.
Fingendo conoscenza di quel gande dolore
di cui tutti parliamo
Senza, però, conoscerlo, senza saperne niente
Riempiendo nostra bocca a frasi fatte
D’ovvie imbecillità…molto meglio tacere,
Prego! Facciam silenzio!
Chè una ragazza è morta…e un’altro se n’e andato.
Loro! Senza rumore.
Loro ! Con un sorriso
Eppure il chicchiericcio, il vostro battibecco
non hanno avuto il bene della pace, non ancora!
Fateli andare!
Cosa aspettate, cosa volete ancora?
Son finalmente a casa, dovunque, poi , li porti quel sorriso
Noi qui
Noi disquisiamo, come sempre
Impaludati e tronfi…
vestiti in seta e d’oro
con stole color viola
diciam di possedere quello che non è nostro
quel che non ci compete…
facciam silenzio! infine
E finalmente salutiam chi parte
Sostituendo icone, cambiamo Dei
noi non modifichiamo la sostanza
siam sempre quelli del vitello d’oro.
Scambiamo figurine…celo, manca.
Non sappiam vivere senza incensar qualcuno
senza cercare in altri
quel che noi già sappiamo
sian essi imperatori o giornalisti
sian essi guitti o cantori…oppure niente
basta che siano là
sopra un’altare indiano
uno qualunque, basta…anche fotografia
purchè non ci costringa nel pensare
che nostra è l’anima
nostro anche il cervello
noi deleghiam pensiero
noi deleghiam parola
pur di restare in fila, dentro al mucchio
costruttori d’idoli noi siam
senza speranza.
A noi l’astratto non ci garba punto
a noi l’idea non basta
con pietre ed oro
con sangue e carne
con broccato e seta
noi dobbiam fare immagine.
Pensar per conto nostro
non è cosa.
Comprender che noi siamo movimento
noi siamo la sostanza
noi siamo il guitto e l’imperatore.
Noi siam creazione, noi siamo fonte e fine
noi, con il nostro intorno
siam tutto quel che occorre
Figlio del mare e del sole
nato eritreo, etiope, libico,
Nato Italiano, greco,cipriota
Ed anche solo questo può bastare
Nato!
Yaeb Saba, Dono di Dio t’hanno chiamato
dono di pace…strada di fratellanza
stupidità d’uomo chi non ti conosce
tu sei nato per darci una lezione
sopra un barca dondolando all’onda
sopra una barca grondante di dolore
Forse ti chiameranno clandestino
nell’insulso inseguimento d’egoismo
forse diranno che tu non hai diritto
per questo raccontiamo la tua storia
per questo ti scriviamo una poesia
figlio del vento sei…mediterraneo
figlio della pace e di un’idea
che soluzione sia la mescolanza
che la speranza sia di vicinanza
nato di vento, sale, nato di sabbia e sole
simbolo della vita
oltre ogni stupidità
oltre ignoranza…
Figlio della migranza, seme e speranza
Come dirti, d’affetto
conquistato…così
mano a mano
trasformando passione
in amore sincero
come dirti del senso…
della profonda fiducia
come poi raccontarti
di quell’ammirazione
di quel senso di stima
sono frasi già dette
complimenti già fatti
retorica in fondo
nel passare degli anni
io poi che le odio
parole già dette
io poi che ci sputo
su frasi già fatte
Io ti voglio narrare dell’anime
del loro incontrarsi
io ti voglio narrare del tempo
che passa e degli anni
che noi condividiamo
io ti voglio parlare di strade…
Non ti voglio annoiare
Voglio farti sognare
Un ragazzo iniziò il primo passo
un uomo poi fece il secondo
un’eroe che imparò a contar sino a cento
Un microfono portò la sua voce nell’aria
un microfono e tanto coraggio
d’una radio ribelle
d’un ribelle alla radio
che spiegava la voce ed il cuore
in difesa di ogni diritto
E lasciò questo segno sul mondo
un ricordo ai fratelli, il suo sangue agli amici
La memoria che riempie la storia
che rindonda in ogni racconto
il ricordo del suo camminare
Camminare! E impare a contare
Voi perdeste signori del male
perdeste quel giorno sui binari del treno
voi perdeste la faccia, l’onore,
voi toglieste la maschera,
rivelandoci un volto mostruoso
voi spegneste il sorriso del mondo
era solo un ragazzo e sapeva contare
Or lo abbiamo imparato anche noi
la sua voce, il suo cuore
il colore stupendo di un’anima
signori del male non lo avete fermato
perchè non si può fare
perchè voi non potete, fermare un’idea
perchè voi non sapete contrastare un racconto
il racconto di un’uomo, un gigante bambino
un’eroe casuale, era uno di noi
impastato col cuore e col sangue
con sassi e colori, col mare e col vento
con il caldo e la lava.
Con il vino e l’ulivo
era uno di noi…ci ha inseganto a contare
Cuccioli d’uomo orribili
ripetono inesorabili
la traccia della vergogna
perpetuando il passo, riproducendo
il limite d’una miseria antica.
Nulla di originale!
Nulla davvero nuovo!
La fantasia che resta
sempre il peggior peccato
di carta patinata
di flussi d’ elettroni
che si compone il verbo
che sembrano adorare.
Eppure è sempre rogo
è sempre l’eresia.
Ancora e sempre a guardia
si erge il perbenista
chiude la porta al sogno.
Figli di una mancanza
nipoti d’una rinuncia
come gli anni che passano
individuano una sequenza…
un’infinita serie.
Mancanza di coraggio
vuoto d’immaginario:
Il mondo? Sempre il medesimo
scandito dal potere…
gli concediamo il sogno
gli diamo il raccontare
come possiam pretendere
d’aver diversi i figli?
Inseguiamo l’amore,
perché le regole ed i libri
sono sicuramente d’uomini,
mentre dell’amore è la voce di Dio
Un sogno è intessuto di nulla
e per questo può volare
percorrendo il cielo, sino all’alba
arrendendosi
alla realtà del giorno sino a cadere
diventando terra
per poi riaprirsi al sole
con petali di nulla
Eterno! Il tentativo di raggiungere.
Senza lasciare nulla all’ intentato.
Volando nuovamente su ali di farfalla
intorno al comprendere
come falene
impazzite alla luce
arrampicandoci, sempre,
alla ricerca di Dio
roteando parole, come mantiglia
davanti agli occhi del potere
mentre il rosso avvampa,
nell’assurdo ricordo dello loro stessa paura
Ed è l’amore…amore mio
che nei tuoi occhi appare
restituendo al cuore il senso del colore
quante parole ascolto io
che riempiono di noia la mia esistenza
ripetitive frasi, in ripetitivi racconti
storie non nuove d’uomini invecchiati
“Che mondo lasceremo ai nostri figli?”
Quante volte ho sentito questa frase ripetuta
da padri preoccupati
che non facevan nulla per migliorar sé stessi
o il mondo a loro attorno
…troppo spesso!
“A noi hanno lasciato le macerie”
dice mia madre
fame, miseria e trincee gonfie di sangue
retorica soccombe per la nausea
se ancora sentirò questo rimbrotto
“che mondo lasceremo ai nostri figli?”
Fate qualcosa,
provatevi a cambiare
Dentro di voi, per poi cambiar l’attorno
Perché rivoluzione parte…sì…
da dentro al cuore
Dalle coscienze nostre
“Che mondo lasceremo ai nostri figli”
Sarà sempre lo stesso? Credo di no
almeno per stavolta
Temo
Con meno ossigeno ed un buco nell’ozono
Però saremo noi ad essere uguali
Sempre, purtroppo, uguali
Sino alla morte per noia o per consumazione
Non ci sarà nessun bisogno, però,che il mondo cambi
Noi ci accartocceremo su noi stessi.
Malati di retorica.
Parliam per frasi fatte
Ripetendo noi stessi…
all’infinito
È morta fantasia!
Questo è il problema
Al posto suo ora c’è un telefonino
Che suona sempre ed ha mille funzioni
Ma che in realtà non contatta più nessuno
Noi siam multimediali…collegati…
ed anche interconnessi…
Ma siam sempre più soli
“Che mondo lasceremo ai nostri figli?”
Sarà di certo il loro
Ed a quel punto non potran più farci niente
Se non odiarci,
per poi cambiarlo per quel che li riguarda
Speriamo in meglio
Così avremmo potuto e non abbiamo fatto…noi
Troppo occupati
Pianger passato e concepir futuro
Noi non ci preoccupammo del presente
Noi non facemmo niente
Speriamo che non sia così per sempre