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vecchiume

Che avreste voi da perder

in questo vostro mondo

che voi voleste così

vestito d’apparenza e forma vuota

senza nessun costrutto

Di queste vostre cose materiali

d’una tecnologia che voi elevaste a scienza

Di questi vostri oggetti

che vi fan rappresentanza

di quel che siete

di quel che non sapreste dire più

da tempo non leggete più una fiaba

e da altrettanto voi non ne raccontate

Voi l’avete permesso e ve ne siete …

dentro nel vostro cuore compiaciuti

Di vostra anima avete perso il segno

di quel che voi davvero foste il senso

ed al suo posto un bene materiale

un po’ di roba, un segno … un oggetto prezioso

che vi narri e che vi rappresenti …

Di quel che non sapreste raccontare

Quel che apparenza vuole e vuota forma

Di quel che avete fatto e del successo

Del potere, dell’influenza, del pensiero comune

Di quel modello di mondo che volete

Che avreste voi da guadagnar dal cambiamento?

Se vostra famtasia non spinge ed immaginazione muore?

Se è normalità nel desiderio

stabilità, controllo, sicurezza

Solo potreste perdere

e questo lo sapete

perciò attorno a voi non cambia nulla

Restate fermi lì

vecchie farfalle morte dentro all’ambra

apesufiore(f) (1)

Di mondi paralleli una collana

d’ipotesi e d’antiche convinazioni

In infiniti spazi senza tempo

l’incomprensibile irride la ragione

I nostri morti tornano …

son qui con noi da sempre

a raccontar la notte

ri-promettendo il giorno

Con l’arroganza della nostra scienza

che infine s’inchina alla creazione.

L’imponderabile ci gioca nel cervello

ridondandosi intorno come se fosse luce.

Il caso gioca, ancora, le sue carte

e mette il Pazzo assieme all’Impiccato

mentre Straripamento accorre su sei righe

Il Ricettivo brilla dentro al suo vuoto interno

e là il Creativo aspetta

con le sue linee dure

ri-raccontando al mondo

d’una antica fiaba, una leggenda

Ed il poeta va

a caccia di unicorni e di emozioni

mentre il musico vi accede per diritto

come il maestro … lui, dell’astrazione

Sopra un moscone vola

e non dovrebbe, ma lui, però, non sa

e lo continua a fare

temporale(f)

Di conoscenza scivolano a dense gocce

sopra vetuste corazze fatte di supponenza

di un’antica superbia che guardandosi

dentro allo specchio, ride di sè

forse piangendo … e lentamente muore

sfiorendo, accartocciandosi … senza nessun rumore

Cercando il senso e il limite, trovandovi l’insipienza

d’inutili e d’ingenue … di stupide parole

di frasi dette e scritte …

che non lasciano alcun segno

Son scritte sulla sabbia e dentro l’acqua

di tempo perso, speso a riempire il giorno

dell’incapacità del presentare

Cose non lette … come non esistessero

Ed ancora resti lì a cercarne il senso

dove non serve più … la conseguenza inutile

Di regole e vecchie cattedre

che s’ascoltano fra loro … compiacendosi

che hanno serrato l’arte in una scatola

Che quel che resta è noia … diletto e gioco

inutile linguaggio da dozzina

e la ripetizione, i vecchi schemi

romanticismi inutili

dove non c’è più tempo …dove non c’è più spazio

non per tutti

linguaggi da iniziati

o li conosci o muori

metriche e variazioni

che superan le parole

ed anche dei contenuti fan giustizia

sino a divenire di per se stessi il senso

Perchè in fondo del dire

s’è già detto, di quasi tutto

Con questo me ne vado

nel posto che mi spetta

fra quelli che non contano

sì proprio là … da dove son venuto

l

20150328_142247 (1f)scritto a quattro mani da Rosa Bruno e Giandiego Marigo

Questo mondo (il sistema che lo sostiene e lo impregna), divide … arbitrariamente, artificio-samente. Ha bisogno di farlo per reggersi in piedi, per giustificarsi e collocare il potere dalla parte della ragione.

Divide fra bianco e nero, fra buono e cattivo, fra sano ed insano, fra normale ed anormale… fra torto e ragione.

Questa divisione è arbitraria, non oggettiva, non può esserlo perchè le cose sono… così come sono, vanno così come vanno e l’uomo ne è parte non creatore, sebbene il libero arbitrio gli permetta di decidere sul come attraversarle, ma esse avvengono, senza necessariamente una connotazione, senza un colore. Le responsabilità il più delle volte sono collettive o peggio mosse dai pochi per il dominio dei molti. Ciò nonostante il karma ed il destino hanno il dominio degli avvenimenti… al di là delle malevolenze e delle cattiverie.

Facciamo così, dividendo e catalogando, persino con l’immanente ed il divino ed allora per un Padre Benevolo e bianco barbuto o per un Dio degli Eserciti, onnipotente e severo, dobbiamo contrapporre forzatamente un Belzebù, un Satana, malizioso e malevolo, crudele e tentatore personalizzando, umanizzando, abbassando al nostro livello ciò che ci sovrasta.

Abbiamo assolutamente bisogno che qualcuno abbia torto per poter avere ragione, per dire a noi stessi che siamo nel giusto, che il nostro è il migliore dei mondi. Certo pecchiamo, sbagliamo e cadiamo, siamo umani, ma siamo dalla parte del bello del buono e del santo… e ci pentiamo… e ci perdoniamo.

Tutta la sovrastruttura sociale è costruita affinché ci sia qualcuno che faccia la parte del cattivo, del babau, del pazzo, del criminale, del folle… lavandoci così la coscienza ed esimendoci dalle responsabilità ed abbiamo un criterio del tutto opinabile nel decidere chi sia il Mostro di Turno, un criterio strano per il quale lo sterminio perpetrato da Adolf Hitler e dal nazismo, di 6/7 milioni di persone (per carità terribile ed infame) è deprecabile, orrendo… terrificante ed inumano, mentre lo sterminio metodico di 230 milioni di nativi americani è giustificabile, storicamente inevitabile, l’eliminazione e l’oppressione quotidiana, calcolata e centellinata del popolo palestinese, addirittura normale. L’eliminazione fisica del popolo kurdo, non segnalata, dimenticata, omessa… un bambino siriano vale molto, molto meno di uno occidentale e bianco.

La nostra moralità pone dalla parte del torto chi meglio ci comoda e soprattutto quando questo ‘fa gioco’ al potere o a chi racconta la storia (che poi sono la medesima fonte).

Quanti roghi, quante forche improvvisate… quante lapidazioni o esecuzioni sommarie in nome della Ragione e del Torto? Quanti pubblici processi, quante gogne?

Quanto pensiero omesso, marginalizzato, non narrato in nome della normalità, del buon-pensiero, della lotta contro l’anormale, il folle, il blasfemo, l’eretico.

Quanta civiltà buttata, non pervenuta, dimenticata e proibita in nome di quello che è buono e di quello che è cattivo… di quello che è giusto o sbagliato.

Abbiamo inventato leggi umane e divine per giustificare le nostre dicotomie… abbiamo riempito libri attribuendoli all’ispirazione quando non addirittura alla dettatura diretta del ‘divino in persona’.

Va detto per amor di verità e di chiarezza, che qui nessuno aspira ad una società immorale o senza freni… esistono, per carità, convenzioni ed Accordi fra Uomini che permettono la convivenza, esiste il bisogno spirituale, esiste quel che è naturale e quello che non lo è. Così come esiste l’oscurità e la luce, ma tutto è parte del medesimo ‘Universo’.

Sono aspetti della stessa fonte che è quello che ci circonda e ci sovrasta, ma l’umanità ha bisogno di avere una rotaia sulla quale scorrere, un indirizzo e magari anche qualche direttore che bacchetti sulle mani chi non sta al gioco, ma soprattutto ha bisogno di giudicare, di condannare, di umiliare…  di punire.

Ha bisogno di sapere che chi non si adatta, non si uniforma alla norma verrà duramente perseguito, possibilmente ammazzato.

Questo è quanto e questo siamo noi, tutti, chi più chi meno, nel nostro faticoso cammino verso l’illuminazione e la tolleranza, verso la compassione e la condivisione, che pure ci apparterrebbero per nostra natura ma che neghiamo, risolutamente. Perchè l’affermarli ci creerebbe un problema serissimo con le impalcature e le sovrastrutture che ci siamo, nei secoli, costruiti attorno; ci creerebbero problemi con la gestione compulsiva dei nostri sensi ci colpa, che sono il pane farlocco ed avvelenato -ma quotidiano- di cui il potere ha insegnato alle nostre anime a nutrirsi.

Sedersi con il torto

Cercammo davvero

qualcuno, disposto a sedersi,

a vedere se stesso

dalla parte del torto.

Non solo a parole, non vuote canzoni,

non storie né fiabe.

Trovammo sepolcri imbiancati

Studenti, avvocati,

mercanti ed attori

Due guitti da strada.

Trovammo i togati…e gli imparruccati

cercando qualcuno disposto sedersi

laddove scottava.

Trovammo i censori … ed i preti,

con quattro esorcisti e due inquisitori

Trovammo le piazze gremite

vestite alla festa, la messa e l’aperitivo

Trovammo sapienti…icone e santini.

Veline, Anchorman…bandiere e fanfare.

Trovammo nei confessionali le file di gente

già pronte a pagare il pedaggio…

un pater, tre ave…un lauto compenso.

Indulgenza plenaria

Castelli di carte ed il vuoto racconto.

Trovammo il pensiero comune,

la gente perbene…ragazzi e ragazze

e vestiti firmati…la danza

oggi è un minuetto, domani il foxtrot

E il torto…in un angolo scuro, sedette da solo

 

oca

C’è chi parla d’amore

con il sole, il mare …

con la luna e con le stelle

del calar della sera

o anche  dell’aria

dopo d’un temporale.

C’è chi narra l’eroe

del burrascoso oceano

le trepidanti vele ed il maestrale

chi dell’insigne trapassato

l’imperatore morto.

Prigionieri di se stessi e del già detto

si modulan frasi fatte

vecchi concetti … la mamma

che fa rima con l’amore

più sei banale e più guadagni soldi

Son pochi e grandi quelli che

hanno parlato dei loro popoli …

delle rivoluzioni, delle speranze

e dei bisogni veri

Ma l’han già detto

ed anche di quello alfin

s’è già molto cantato

Che resta a noi poeti da strapazzo

che resta a noi se non ripetizione?

Parlar dell’uomo … forse

dello spirito e l’anima

ma l’han già fatto tutti

chi palesando e chi senza parere

Che cosa resta a noi? Se non il gioco

o la metafora o le nuove parole.

Che resta a noi se non ripetizione?

Eppure ogni canzone è nuova

se è ben venduta

ed ogni cosa detta è un’altra cosa.

Ed anche se cerchi il nuovo

finisci con il dire quello che già

al tempo suo qualcuno aveva detto

eppure i grandi son grandi e noi

siamo poeti stradaioli

qialcosa vorrà dire pure questo

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